articolo Tempo libero Musica
Rino Gaetano: non solo canzonette per il menestrello crotonese freccedomenica 17 novembre 2013

Non solo canzonette per Rino Gaetano, cantastorie crotonese di cui il mito resiste impavido, nonostante la recente profanazione della tomba e i misteri sulla sua morte attribuita alla massoneria. Salvatore Antonio Gaetano, nato a Crotone il 29 ottobre 1950 e morto il 2 giugno 1981, ha rifiutato “etichette”, ha evitato di schierarsi politicamente, utilizzando sempre, però, come comune denominatore delle sue canzoni la denuncia sociale, attraverso forme di pensiero e di espressione più libere, innovative ed autentiche.

Rino Gaetano è tra le rare voci poetiche di cui la Calabria e, in particolare, Crotone possa vantarsi: un poeta del Sud, un cantore della vita e dei paesaggi della sua città, rappresentati nella loro naturale e umana bellezza, in contrasto dialettico con il caos della vita metropolitana, con gli agi, i falsi splendori, le facili fortune, i miti alienanti della società del benessere e del mondo della comunicazione mediatica. Dotato di un talento artistico precoce, maturato attraverso il contatto con gli ambienti romani, egli è stato uno dei primi e più efficaci analizzatori della confusione, della segmentazione e della pochezza della c.d. epoca post-moderna, verso la quale, per difendersi, ha usato, in modo impareggiabile, il mezzo dell’ironia, nel momento stesso in cui, da geniale comunicatore, adottava - con il cilindro, con le filastrocche, i giochi di parole, le associazioni sorprendenti di immagini e di idee, con l’uso del non sense, con quel suo stile irregolare e spensierato di vita - le modalità espressive richieste per attrarre attenzione ed essere ascoltato in un contesto sociale e culturale in cui l’essere gli sembrava ostaggio dell’apparire.

Il successo per Rino è arrivato, premiando l’estrosità del personaggio, che si diversificava nel panorama dei cantautori della sua generazione, insieme alla giovanile e prorompente vitalità e allo slancio liberatorio che la sua musica riesce a trasmettere al pubblico, anche ora, ad anni di distanza dalla sua morte improvvisa. Quello che, probabilmente, non è venuto fuori è la nativa vocazione poetica del cantautore crotonese, è l’unità della sua ispirazione, la coerenza e la fedeltà a un insieme di sentimenti costituitosi fin dai primi anni, complicatosi e integratosi mediante esperienze di vita non sempre rosee, quali sono quelle di tante famiglie sradicate dalla terra di origine. Le canzoni di Rino Gaetano non nascono dalla volontà di sviluppare temi di vario genere, secondo il gusto e le tendenze del momento, ma hanno tutte la loro origine nella sua personale esperienza e visione della vita.

Abbiamo come tema i suoi amori giovanili, ritratti sempre con estrema delicatezza, attraverso figure di donne a lui vicine o da lui occasionalmente incontrate; l’emigrazione e il Sud (Cogli la mia rosa d’amore, si riferisce a un fotografo che deve ritrarre il Meridione, ma in realtà è la personificazione del Sud stesso a parlare); l’emarginazione (Escluso il cane, Mio fratello è figlio unico) come a voler dire che in realtà siamo tutti un po’ soli. Queste canzoni sono righe di un diario privato, rese note grazie all’inclinazione all’oggettivazione dei sentimenti, propria dei grandi autori, i quali riescono a captare e a sottolineare l’aspetto e il valore universali delle proprie esperienze soggettive. I testi di Rino sono prodotti poetici, di cui la melodia evidenzia e scandisce la base emozionale sottostante.

Sono brani degni di apparire in un’antologia di poeti meridionali. Si pensi a: Ad esempio a me piace la strada, col verde bruciato magari sul tardi: macchie più scure senza rugiada, coi fichi d’India e le spine dei cardi. (“Ad esempio a me piace il Sud) Oppure a: L’estate che veniva con le nuvole rigonfie di speranza; nuovi amori da piazzare sotto il sole; il sole che bruciava lunghe spiagge di silicio: e tu crescevi, crescevi sempre più bella (“Sfiorivano le viole”) Una statua a Crotone, una piazzetta con il suo nome, non gli renderanno mai onore, quanto invece potrebbe farlo il perenne ricordo della musica italiana e l’orgoglio che i crotonesi devono provare per questo loro concittadino, magari non solo con concerti, ma iniziative di riflessione e approfondimento.

I giovani devono ammirarlo come modello di libertà e di anticonformismo, di dedizione totale e senza compromessi all’ispirazione interna e al dono, di cui era consapevole, di saper regalare pezzi di autenticità e di bellezza, traendone spunto da un’esistenza vissuta a ritmi veloci, che a volte sembrava scivolargli di mano. Veronica Otranto Godano
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Non solo canzonette per Rino Gaetano, cantastorie crotonese di cui il mito resiste impavido, nonostante la recente profanazione della tomba e i misteri sulla sua morte attribuita alla massoneria. Salvatore Antonio Gaetano, nato a Crotone il 29 ottobre 1950 e morto il 2 giugno 1981, ha rifiutato “etichette”, ha evitato di schierarsi politicamente, utilizzando sempre, però, come comune denominatore delle sue canzoni la denuncia sociale, attraverso forme di pensiero e di espressione più libere, innovative ed autentiche.

Rino Gaetano è tra le rare voci poetiche di cui la Calabria e, in particolare, Crotone possa vantarsi: un poeta del Sud, un cantore della vita e dei paesaggi della sua città, rappresentati nella loro naturale e umana bellezza, in contrasto dialettico con il caos della vita metropolitana, con gli agi, i falsi splendori, le facili fortune, i miti alienanti della società del benessere e del mondo della comunicazione mediatica. Dotato di un talento artistico precoce, maturato attraverso il contatto con gli ambienti romani, egli è stato uno dei primi e più efficaci analizzatori della confusione, della segmentazione e della pochezza della c.d. epoca post-moderna, verso la quale, per difendersi, ha usato, in modo impareggiabile, il mezzo dell’ironia, nel momento stesso in cui, da geniale comunicatore, adottava - con il cilindro, con le filastrocche, i giochi di parole, le associazioni sorprendenti di immagini e di idee, con l’uso del non sense, con quel suo stile irregolare e spensierato di vita - le modalità espressive richieste per attrarre attenzione ed essere ascoltato in un contesto sociale e culturale in cui l’essere gli sembrava ostaggio dell’apparire.

Il successo per Rino è arrivato, premiando l’estrosità del personaggio, che si diversificava nel panorama dei cantautori della sua generazione, insieme alla giovanile e prorompente vitalità e allo slancio liberatorio che la sua musica riesce a trasmettere al pubblico, anche ora, ad anni di distanza dalla sua morte improvvisa. Quello che, probabilmente, non è venuto fuori è la nativa vocazione poetica del cantautore crotonese, è l’unità della sua ispirazione, la coerenza e la fedeltà a un insieme di sentimenti costituitosi fin dai primi anni, complicatosi e integratosi mediante esperienze di vita non sempre rosee, quali sono quelle di tante famiglie sradicate dalla terra di origine. Le canzoni di Rino Gaetano non nascono dalla volontà di sviluppare temi di vario genere, secondo il gusto e le tendenze del momento, ma hanno tutte la loro origine nella sua personale esperienza e visione della vita.

Abbiamo come tema i suoi amori giovanili, ritratti sempre con estrema delicatezza, attraverso figure di donne a lui vicine o da lui occasionalmente incontrate; l’emigrazione e il Sud (Cogli la mia rosa d’amore, si riferisce a un fotografo che deve ritrarre il Meridione, ma in realtà è la personificazione del Sud stesso a parlare); l’emarginazione (Escluso il cane, Mio fratello è figlio unico) come a voler dire che in realtà siamo tutti un po’ soli. Queste canzoni sono righe di un diario privato, rese note grazie all’inclinazione all’oggettivazione dei sentimenti, propria dei grandi autori, i quali riescono a captare e a sottolineare l’aspetto e il valore universali delle proprie esperienze soggettive. I testi di Rino sono prodotti poetici, di cui la melodia evidenzia e scandisce la base emozionale sottostante.

Sono brani degni di apparire in un’antologia di poeti meridionali. Si pensi a: Ad esempio a me piace la strada, col verde bruciato magari sul tardi: macchie più scure senza rugiada, coi fichi d’India e le spine dei cardi. (“Ad esempio a me piace il Sud) Oppure a: L’estate che veniva con le nuvole rigonfie di speranza; nuovi amori da piazzare sotto il sole; il sole che bruciava lunghe spiagge di silicio: e tu crescevi, crescevi sempre più bella (“Sfiorivano le viole”) Una statua a Crotone, una piazzetta con il suo nome, non gli renderanno mai onore, quanto invece potrebbe farlo il perenne ricordo della musica italiana e l’orgoglio che i crotonesi devono provare per questo loro concittadino, magari non solo con concerti, ma iniziative di riflessione e approfondimento.

I giovani devono ammirarlo come modello di libertà e di anticonformismo, di dedizione totale e senza compromessi all’ispirazione interna e al dono, di cui era consapevole, di saper regalare pezzi di autenticità e di bellezza, traendone spunto da un’esistenza vissuta a ritmi veloci, che a volte sembrava scivolargli di mano. Veronica Otranto Godano
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